Non tutto deve essere un lavoro

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    Ormai ogni attività viene definita un lavoro. Soprattutto le attività che ricadono in modo prevalente sulle donne (cucinare, occuparsi dei bambini e degli anziani) sono state identificate come un lavoro che è definito di tipo emotivo che, come ben sappiamo, non è pagato. Tutto ciò, però, ha una conseguenza negativa: ammantare tutto con la logica di un luogo di lavoro sottintende che è degno di rispetto ed apprezzamento solo chi lavora in modo retribuito. Questo comporta che se ogni cosa è lavoro non c’è più un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata.
    Ma l’abitudine di definire qualsiasi attività come un lavoro è più diffusa. Il matrimonio, ci dicono continuamente gli esperti di relazioni e le celebrità in via di divorzio, è un lavoro. Essere genitori è “il lavoro più difficile del mondo”. Perfino il piacere è diventato un impegno, quando cerchiamo di raggiungere i diecimila passi sui nostri apparecchi per monitorare l’attività fisica, o mettiamo una crocetta dopo ogni esperienza sulla nostra “lista dei desideri”, una sorta di elenco delle cose da fare di cui non ci è concesso neanche il piacere di lamentarci perché, in teoria, dovrebbero essere divertenti.

    La definizione di lavoro emotivo è stata utilizzata, per la prima volta, negli anni ottanta dalla sociologa Arlie Hochschild. Questa espressione riguardava l’impegno richiesto alle persone che svolgevano certi lavori, molto spesso donne, di essere sempre sorridenti e premurose, a prescindere dal loro reale stato d’animo.
    Tuttavia negli ultimi tempi anche ascoltare un partner o un amico parlare di sé o dei suoi problemi viene visto come un lavoro. Perciò c’è da chiedersi questo: se un aspetto così importante di un rapporto è paragonato a un lavoro che cosa non lo è?

    In un mondo ideale queste attività interpersonali avrebbero valore non in quanto lavori, ma semplicemente perché sono importanti. Perché questo accada non dovrebbero venire viste come un lavoro e le persone non dovrebbero necessariamente essere grandi lavoratori.

    fonte: internazionale.it
     
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